Crisi
Russia: crisi vera?

Ci sono diversi aspetti interessanti sul pesante calo del prezzo del petrolio e la conseguente crisi del rublo, che questa mattina ha costretto la banca centrale russa ad intervenire alzando i tassi di interesse dal 10,5% al 17% nel tentativo apparentemente disperato di arginare la fuoriuscita di capitali dalla Russia. La difficoltà russa è iniziata pochi mesi fa per l’accusa di coinvolgimento indiretto nel conflitto ucraino a cui sono seguite sanzioni commerciali da parte di Stati Uniti ed Unione Europea in primis. Sanzioni che hanno bloccato gli scambi commerciali e le transazioni bancarie con l’estero. Un isolamento che ha colpito pesantemente la Russia che finanzia la spesa pubblica con l’esportazione di petrolio, gas e materie prime. A questo ha fatto seguito il ribasso del prezzo del petrolio causato dal calo della richiesta mondiale dovuta alla crisi economica globale ed alla raggiunta autosufficienza energetica raggiunta dagli Stati Uniti che hanno smesso di importare petrolio grazie alle estrazioni di shale-gas e shale-oil. Il veto arabo sulla ipotesi di taglio della produzione da parte dell’Opec ha fatto il resto. Con il petrolio che nel frattempo è crollato dai prezzi superiori ai 100 dollari di inizio anno agli attuali 55$. I primi commenti degli esperti sono subito stati orientati all’ipotesi di una manovra orchestrata per colpire la politica arrogante di Putin, ma sono molti i conti che non tornano. Il basso prezzo del petrolio colpisce sicuramente le esportazioni russe, che però erano già in difficoltà per le sanzioni, aggirate da accordi collaterali di scambio con Cina, Turchia ed altri paesi. Colpiti sono soprattutto i cittadini che vedono i prezzi dei prodotti importati dall’estero raddoppiarsi. Ciò potrebbe tra l’altro costituire uno stimolo per l’economia produttiva del paese. Lo stato russo tra l’altro paga gli stipendi in rubli, quindi la crisi non dovrebbe provocare un aumento della spesa pubblica. Mentre le esportazioni verso la Cina avvengono in valuta che è diventata pregiata. L’aumento del tasso d’interesse può essere sostenuto dalle cospicue riserve che pur non essendo infinite possono essere integrate dalla stampa di moneta da parte della banca centrale visto l’attuale livello del debito pubblico russo che è inferiore al 10% del Pil, quindi con margini enormi di crescita. Solo per fare un paragone, gli Stati Uniti sono anche loro colpiti dal basso prezzo del petrolio, visto che le società petrolifere americane hanno finanziato i nuovi pozzi di estrazione con l’emissione di obbligazioni ad alto rendimento i cui prezzi sono crollati in conseguenza dei timori sulle perdite di bilancio da parte delle società petrolifere che a questi prezzi venderebbero petrolio ad un prezzo più basso del costo di produzione. Una situazione che gli americani stanno affrontando con un’economia in ripresa, ma con un debito pubblico che nelle scorse settimane ha superato la soglia dei 18.000 miliardi di dollari, superando il 100% di rapporto debito/Pil, numeri che avvicinano gli Stati Uniti alle disastrate finanze pubbliche europee. Per noi italiani il prezzo basso del petrolio rappresenta un’insperata boccata d’ossigeno per il nostro portafoglio, ma fuori dai nostri confini Putin deve sicuramente tenere sotto controllo le difficoltà della popolazione che potrebbe essere indotta più o meno spontaneamente a ribellarsi alla situazione, mentre gli americani devono tenere sotto controllo i mercati finanziari in caso di default di qualche società petrolifera. Sullo sfondo di questa partita a scacchi il fatto rilevante circa i massicci acquisti di oro negli ultimi mesi da parte delle banche centrali di Russia, Cina, India ed altri paesi asiatici filo-russi. Acquisti che contrariamente a quanto preventivabile, non hanno provocato nessun rialzo dei prezzi ne di oro ne di argento, classici beni rifugio specialmente in momenti di tensione come quelli attuali e che riportano il focus sulla probabile vera questione in gioco: la dedollarizzazione, cioè la sostituzione del dollaro come valuta di riferimento mondiale. La delicatezza della situazione internazionale a questo punto deve essere seguita con attenzione. Gli Stati Uniti sono dall’altra parte dell’oceano mentre la Russia è dietro l’angolo. E le mosse e contromosse dei giocatori in campo ci toccheranno certamente da vicino.
A presto
Gianni Di Noia
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